• Passa alla navigazione primaria
  • Passa al contenuto principale

Archivio Casa Rossa

Archivio Digitale Storico

  • Home
  • Il progetto
  • La storia della Casa Rossa
  • Contatti
  • Show Search
Hide Search

Antonio Turco

Figlio di Luigi, direttore della Casa di Rieducazione Minorile dal 1965 al 1972

Antonio Turco è il figlio di Luigi, direttore della Casa di Rieducazione Minorile di Alberobello dal 1965 al 1972. In questa intervista ripercorre le fasi e il metodo educativo introdotto da suo padre. 

Quando Luigi Turco con la sua famiglia si trasferisce ad Alberobello, la Casa Rossa contava 67 ragazzi, la cui maggior parte erano di Napoli e Bari, i due epicentri della malavita minorile. 

L’arrivo ad Alberobello da Roma, racconta Antonio, è stato traumatico in quel momento ma la Casa Rossa ha rappresentato un tassello importantissimo per la sua vita. E non solo. La storia della Casa Rossa risalente a quegli anni ha segnato una svolta nei contesti educativi e istituzionali proprio grazie agli interventi e alle metodologie attuate da Luigi Turco.

Il primo intervento ha riguardato l’aspetto “logistico” della struttura. Ispirandosi agli studi dei pedagogisti Uberto Ladelli e Piero Bertolini che affermavano il concetto che “ogni singolo ragazzo ha diritto ad un processo rieducativo”, riconoscendo così l’importanza di un rapporto diretto tra il ragazzo e l’educatore, Turco dispose le stanze con due, tre e quattro letti, affiancando ad ognuna di esse una stanza in cui dormiva l’educatore responsabile di quel gruppo. Questo per ovviare al sistema fino ad allora in uso di lasciare i ragazzi tutti insieme, senza distinzione di età, ammassati in tre camerate. Questo fu un primo passo verso la destrutturazione del carcere sulla base dei gruppi famiglia. La figura degli agenti di custodia, che fino a quel momento erano stati violenti, fu sostituita dalla figura di un educatore.

Da questa prima modifica dal punto di vista strutturale cominciarono i cambiamenti a livello istituzionale e anche nel vissuto quotidiano dei ragazzi che cominciarono ad essere chiamati con il proprio nome. 

La seconda sfida che affrontò fu quella di modificare la considerazione che la comunità di Alberobello aveva nei confronti di questi ragazzi non accettati. E lo fece dando avvio ad una serie di iniziative che coinvolgessero i ragazzi nel contesto sociale del paese, come ad esempio l’uscita domenicale. 

Inoltre, Luigi Turco aveva stretto dei rapporti di complicità con organizzazioni relazionali del paese, una di queste era il cinema. I ragazzi della Casa Rossa pagavano 30 lire, invece di 100 lire e potevano andare liberamente al cinema.

Il tutto nasceva da un’idea ben strutturata sulla base della civiltà giuridica, comprendendo quanto fosse fondamentale per i ragazzi detenuti essere considerati come persone e come animali sottomessi. 

Un altro elemento che rafforzò ancora di più l’idea della comunità fu il pallone. Presso la Casa Rossa c’era un campo di calcio che la squadra di Alberobello non aveva e così venivano organizzati tornei tra i detenuti e i giocatori. 

Molti ragazzi detenuti furono in grado grazie a questo metodo rieducativo di riprendere in mano la propria vita. Altri purtroppo no. In quegli anni presso la Casa Rossa esisteva anche una equipe composta dal professor Palmisani che si occupava delle attività sportive e dal professor Vergani, psichiatra, che si faceva carico dei percorsi di recupero da traumi e dalle dimensioni psicopatologiche a cui afferiva il livello di malessere dei ragazzi reclusi. 

Tutto il lavoro era legato all’idea da una parte di creare una vera e propria comunità, di trasmettere fiducia e rispetto, e dall’altra di costituire un’alternativa a quella che era la logica di appartenza ad un clan o ad un pessimo contesto sociale. 

Antonio Turco riassume così in quadro complessivo di quegli anni, la cui esperienza è rimasta confinata in pochi scritti. Come questo sia stato un modello che ha funzionato rispetto al modo di agire violento preesistente nella Casa Rossa.

Anche la chiesa ha avuto una sua importanza.  All’epoca c’era il cappellano della Casa Rossa, lo stesso di Coreggia, una frazione di Alberobello, che con la sua umanità e il suo modo di coinvolgere i ragazzi ha rappresentato un ulteriore punto di forza nel sostegno educativo dei ragazzi. 

Antonio conclude il suo racconto mettendo il luce quanto suo padre sia stato un grande mentore e di come la sua presenza è stata per la Casa Rossa l’occasione per un cambiamento radicale, l’occasione per renderla un luogo più vivibile per tutti coloro che in un modo o nell’altro ci sono passati, l’occasione per lasciarsi alle spalle un sistema privo di amore e rispetto a favore di un legame  paterno nei confronti di questi ragazzi.

Il ricordo è ancora vivo in lui, non solo nella dimensione personale e affettiva ma soprattutto in un percorso professionale che nell’istituto di rieducazione ha avuto il proprio input su cui impostare una vita dalla parte degli ultimi, proprio come erano i ragazzi della Casa Rossa. 

Copyright © 2025 Archivio Casa Rossa | Strategia regionale "la cultura si fa strada - I luoghi della memoria" (legge regionale n. 67/2017, art. 49)